Lenin: lo stato è una “dittatura della borghesia”
« Per Marx lo stato è l’organo di dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte dell’altra. E’ la creazione di un “ordine” che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi ». In “Stato e rivoluzione” [1], Lenin, da primo discepolo del marxismo, indica chiaramente il nemico: lo stato.
Riporta anche il pensiero di Engels ancora più dettagliato: « lo stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale ».
In sintesi, « lo stato è una “dittatura della borghesia” ».
Dittatura che viene imposta con la forza di due principali strumenti:
- « l’esercito permanente e la polizia »;
- più sotto nel testo Lenin aggiungerà « la burocrazia ».
Poco, solo nella forma, cambia nella repubblica democratica.
Lenin: la piccola borghesia si lascia attrarre dalla parte della grande borghesia
Nella “repubblica democratica”, « la piccola borghesia si lascia attrarre dalla parte della grande borghesia, ed è sottomessa a quest’ultima, in misura notevole proprio per mezzo di questo apparato che dà agli strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani, dei commercianti, ecc. impieghi relativamente comodi, tranquilli e onorifici e che pongono loro titolari al di sopra del popolo ».
« La lotta per il potere dei diversi partiti politici borghesi e piccolo-borghesi è per dividersi e distribuirsi il “bottino” degli incarichi statali, mentre immutate restano le basi del regime borghese », aggiunge Lenin per far comprendere di temere le “distanze” da « gli strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani, dei commercianti, ecc. ».
Ma tutto il male non vien per nuocere: « più si procede a “nuove spartizioni” dell’apparato amministrativo fra i diversi partiti borghesi e piccolo-borghesi e con maggiore evidenza appare alle classi oppresse, e al proletariato che ne è a capo, la loro ostilità irriducibile alla società borghese nel suo insieme ».
Lenin: falso che lo stato odierno esprima la volontà dei lavoratori
Sempre riportando Engels, Lenin scrive: « la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera più sicura, in primo luogo con la corruzione dei funzionari, in secondo luogo con l’alleanza tra governo e Borsa ».
In altre parole, secondo i marxisti, la repubblica democratica è solo un « involucro politico, il migliore possibile per il capitalismo ». « Il capitale, dopo essersi impadronito di questo involucro, fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo ».
« Il suffragio universale » è categoricamente « uno strumento di dominio della borghesia », sostiene Engels.
Naturalmente, « i democratici borghesi […] inculcano nel popolo la falsa concezione che il suffragio universale possa “nello stato odierno” esprimere realmente la volontà della maggioranza dei lavoratori e assicurarne la realizzazione ».
Quando, invece, quel che si realizza è che « i capitalisti saccheggiano l’erario mediante le forniture militari ».
Lenin: il parlamento è “una stalla”, ma devono esistere istituzioni rappresentative
Ma, nonostante tutto ciò, Lenin afferma che « la repubblica democratica, in regime capitalista, è la forma migliore di stato per il proletariato »!
Ciò, però, ancora per Lenin non deve dare « il diritto di dimenticare che la sorte riservata al popolo, anche nella più democratica delle repubbliche borghesi, è al schiavitù salariata ». Ne scaturisce la condanna per quel « opportunismo oggi dominante che educa invece il partito operaio in modo da farne il rappresentante dei lavoratori meglio retribuiti, che […] “si sistemano” abbastanza comodamente nel regime capitalista ».
Comunque sia, Lenin ricorda come « Marx seppe romperla implacabilmente con l’anarchismo per la sua incapacità di utilizzare anche la “stalla” del parlamentarismo borghese soprattutto quando è evidente che la situazione non è rivoluzionaria ».
Se il parlamentarismo è « la “stalla” », lo è perché si tratta di « istituzioni rappresentative da mulini di parole ». « Il vero lavoro “di stato” si compie tra le quinte, e sono i ministeri, le cancellerie, gli stati maggiori che lo compiono. Nei Parlamenti non si fa che chiacchierare, con lo scopo determinato di turlupinare il “popolino” », spiega Lenin.
Ma il rifiuto del parlamentarismo, secondo Lenin, non equivale al « distruggere le istituzioni rappresentative e il principio dell’eleggibilità, ma nel trasformare queste in organismi che “lavorino” realmente ».
In altre parole: « Noi – chiude il ragionamento il rivoluzionario marxista – non possiamo percepire una democrazia, sia pure una democrazia proletaria, senza istituzioni rappresentative, ma possiamo concepirla senza parlamentarismo ».
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Fonti e Note:
[1] Lenin, “Stato e Rivoluzione”, 1917.
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