Montesquieu e la separazione dei poteri nello Stato
Montesquieu, con non poca ironia, descriveva la libertà degli uomini come la « facoltà di eleggere colui al quale devono obbedire » [1]. Poi, con più pragmatismo, la definiva come « il diritto di fare ciò che le leggi permettono » o, anche, « nel potere fare ciò che si deve fare, e nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere » (!).
Nella democrazia, scrive ne “Lo spirito delle leggi”, « si è confuso il potere del Popolo con la libertà del Popolo ». Insomma, anche per lui: Stato (anche “democratico”) e libertà sono un ossimoro!
In uno Stato, « la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che si vuole » afferma (a ragione).
Nonostante ciò, lui contestava la “democrazia diretta” e sosteneva il “governo rappresentativo” come il minore dei mali: « il grande vantaggio di avere dei rappresentanti è che essi sono capaci di discutere gli affari. Il Popolo non è affatto in grado e questo costituisce uno dei grandi inconvenienti della democrazia »! « Esso [il Popolo, NdR] non deve avere parte nel governo che per scegliere i propri rappresentanti, il che è pienamente alla sua portata ». Per naturale conseguenza di questa sfiducia del filosofo nel Popolo, non dobbiamo imporre all’eletto un “obbligo di mandato”, ovvero istruzioni « particolari su ciascun affare » trattato, come invece « si pratica nelle Diete germaniche ».
Non che Montesquieu avesse un’idea positiva dell’Autorità di governo: « è un’esperienza eterna – scrive – che ogni uomo, avendo in mano il potere, sia portato ad abusarne; va avanti fino a quando non trova dei limiti”. In proposito, proponeva un’efficace … cura: « perché non si possa abusare del potere bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere ». Il filosofo francese stava riferendosi alla necessità della separazione dei poteri. Nulla di nuovo, roba che esisteva già ad Atene, tra il V e il IV secolo avanti Cristo, e persino nella repubblica di Roma. Ma … repetita iuvant.
Come noto, infatti, i poteri dello Stato, qualunque di esso sia la forma, repubblica o monarchia o dispotismo, sono tre: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori).
Spiega così, Montesquieu:
- « quando nella persona, o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che … facciano leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente »;
- « non vi è libertà, se il potere giudiziario non è separato da potere legislativo e da quello esecutivo. Se fosse unito a quello legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario; se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore ».
In merito al potere giudiziario, in particolare, Montesquieu, esprimeva un’opinione che sarebbe sicuramente oggi apprezzata dai governi conservatori:
- « il potere giudiziario non deve essere attribuito ad un senato permanente, ma deve essere esercitato da persone elette dal popolo » [a tempo determinato, NdR].
- « bisogna che l’imputato possa scegliersi dei giudici ».
Se la separazione dei poteri assicurava una protezione dagli abusi di potere, ciò non avrebbe potuto comunque garantire che il Popolo apprezzasse il governo stesso. Solo il voto, e una reale alternanza dei governanti, infatti, secondo Montesquieu, assicura che il Popolo non cada « preda del furore [e si rivolti, NdR] o dell’apatia [l’astensione dal voto, NdR]”. I governati, infatti, hanno sempre « una cattiva opinione del corpo legislativo in carica e ripone giustamente le speranze in quel che seguirà ».
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Fonti:
[1] MONTESQUIEU, Charles-Louis de Secondat, Barone di (1689-1755), “Lo spirito delle leggi” (1749), per come ripubblicato in “Per mantenere il governo devi amarlo”; trad. Domenico Felice. Giunti Editore, Milano-Firenze, 2023, ISBN 979-12-217-362-7.
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