Marx: il prezzo della schiavitù nella società capitalista

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Quando si parla di salario, ovvero del prezzo che il capitalista paga al lavoratore per prendere il affitto un certo numero di ore della sua forza-lavoro, bisogna chiedersi: di quale salario stiamo parlando? Nominale, reale, minimo o relativo?

La distinzione non è di poco conto, tanto che Karl Marx le ha dedicato un intero saggio: “Lavoro salariato e capitale” (1849) [1]. In questo testo, il filosofo del comunismo analizza le dinamiche fondamentali del rapporto tra lavoratore e capitalista, offrendo spunti di grande attualità.

Lavoro e forza-lavoro: una distinzione fondamentale

Spesso si confonde il concetto di lavoro con quello di forza-lavoro, ma Marx chiarisce che non sono la stessa cosa. La forza-lavoro è la capacità dell’individuo di svolgere un’attività produttiva ed è proprio questa che il capitalista acquista e remunera con il salario. Il lavoro, invece, è l’attività concreta svolta dal lavoratore.

I concetti chiave del salario secondo Marx

  • Forza-lavoro: è «la merce che il suo possessore, il salariato, vende al capitale per vivere».
  • Salario nominale: è «il prezzo della forza-lavoro», cioè la cifra in denaro ricevuta dal lavoratore.
  • Salario reale: indica cosa si può acquistare con il salario nominale. Dipende dal costo della vita e può ridursi se «aumenta il valore dei mezzi di sussistenza» (cibo, alloggio, cure mediche, ecc.).
  • Salario minimo (medio, «vale a dire non per il singolo individuo, ma per la specie»): rappresenta il necessario per garantire al lavoratore le «merci necessarie per mantenerlo in vita e capace di lavorare», quindi il «costo di esistenza», nonché la «riproduzione», ovvero la capacità di avere e mantenere una famiglia assicurando la «condizione di moltiplicarsi e di sostituire gli operai logorati dal lavoro con nuovi operai».
  • Salario relativo: è il rapporto tra il salario del lavoratore e il profitto del capitalista. Se questo rapporto diminuisce, «la divisione della ricchezza sociale fra capitale e lavoro diventa ancora più diseguale». Questo squilibrio determina il plusvalore, cioè la differenza tra il valore creato dal lavoro e il salario pagato. Tale meccanismo costituisce la base dello sfruttamento del lavoratore, poiché il capitalista si appropria di una parte del valore generato senza corrispondere una retribuzione adeguata.

Alienazione e divisione del lavoro

Marx evidenzia come la «divisione del lavoro» accentui la competizione tra operai, portandoli a svalutarsi l’uno con l’altro: «Un operaio fa il lavoro di 5, di 10, di 20, aumentando di 5, di 10, di 20 volte la concorrenza fra operai». Questo spinge i salari verso il basso e rafforza il potere del capitale. Ma c’è un’altra conseguenza cruciale: la alienazione. Con la specializzazione esasperata, il lavoratore perde il controllo sul processo produttivo e sul significato del proprio lavoro, riducendosi a un semplice ingranaggio della macchina capitalista, privo di creatività e autonomia.

La legge della domanda e dell’offerta

Come ogni altra merce, il prezzo della forza-lavoro è determinato dal mercato. Se ci sono più lavoratori disponibili e meno posti di lavoro, il salario scende. «La concorrenza tra i venditori ribassa il prezzo della merce che essi offrono». E chi sono i venditori? Gli stessi lavoratori.

Marx non si limita a descrivere il problema, ma suggerisce la necessità di un cambiamento. «Su questi rapporti economici si fonda tanto l’esistenza della borghesia e il suo dominio di classe quanto la schiavitù degli operai». Per migliorare la condizione dei lavoratori salariati, bisogna intervenire su questo meccanismo.

Possibili soluzioni per ridurre il divario

In un’economia di mercato, l’unico modo per aumentare il prezzo del lavoro è modificare il «rapporto tra domanda e disponibilità» della forza-lavoro. Ci sono due strade percorribili:

  • Aumentare la domanda di lavoratori attraverso investimenti pubblici e privati.
  • Ridurre l’offerta di forza-lavoro con pensionamenti anticipati, sostegni ai disoccupati (ad esempio il reddito di cittadinanza) e con la riduzione dell’orario di lavoro.

La schiavitù del lavoratore verso la borghesia

Marx conclude con una riflessione amara: il lavoratore «vende ad un terzo la sua forza vitale per assicurarsi i mezzi di sussistenza. Il prodotto della sua attività non è lo scopo della sua attività. Ciò che egli produce per sé è il salario». In altre parole, il lavoro non è parte della sua vita, ma un sacrificio necessario per poter vivere davvero, solo dopo, «a tavola, al banco dell’osteria, a letto».

Questa condizione, sottolinea Marx, porta a una forma di schiavitù mascherata: «Benché formalmente libero, se egli non vuole rinunciare alla propria esistenza, il salariato appartiene alla borghesia».

Oggi, in un mondo in cui la precarietà, l’inflazione e la disuguaglianza economica continuano a crescere, l’analisi di Marx rimane più attuale che mai. La questione salariale non è solo un problema economico, ma anche un tema di giustizia sociale e di dignità umana.

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Fonti e Note:

[1] Karl Marx, Lavoro salariato e capitale (1849), Edizioni Lotta Comunista. Il testo integrale è pure fruibile su Marxist.org.

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2 risposte

  1. Federico ha detto:

    Non si poteva fare migliore riassunto di “Lavoro salariato e capitale” in così poche righe.
    È un saggio che, come dici te, è sempre molto attuale, è la strada tracciata, non seguita, della battaglia sindacale di base.
    Per fare un esempio elementare,basta citare la perdita del potere d’acquisto dei salari negli ultimi anni e la contemporanea mancanza di forza lavoro.

  2. Sinistra Libertaria ha detto:

    Non è il riassunto ovvio dell’intero saggio di Marx. Comunque noi crediamo che delle “pillole” permettano di divulgare, popolarizzandolo, il pensiero filosofico.

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