Pietro Verri: i principi della resistenza al cattivo governo

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Il Popolo, se soffre, non può accusare nessun altro se non se stesso, la propria ignoranza, il proprio egoismo, la propria indole timida. L’Autorità, è certamente – per numero – più debole del Popolo ma usa due classiche armi per mantenere il potere:

  • dividi et impera;
  • panem et circenses.

L’Uomo, il Popolo, però, se vuole, può liberarsi di un cattivo governo; studiando i “libri buoni” e, al momento opportuno, con una rivoluzione.

Questo, in estrema sintesi, il pensiero che il filosofo milanese Pietro Verri (1728-1797) esterna nel “primo dialogo” dell’opera “Meditazioni sulla felicità” (1763).

Già allora, come oggi, la condizione pubblica era pessima: « L’Italia geme nell’inerzia sotto il peso della falsa politica e della superstizione » [alias la Chiesa, NdR], scriveva il conte Verri.

Per il filosofo, però, le colpe di tale condizione sono da addebitare proprio al Popolo: « I dispotici capiscono che la sicurezza loro dipende dalla ignoranza del popolo; e l’orgoglio di chi governa sempre rimane offeso da chi abbia una esistenza sua propria indipendente ».

« Quanto è più alieno un Popolo dall’esaminare la Cosa Pubblica – scrive -, tanto meno resta sensibile agli insulti di chi lo governa, perché l’animo non si sdegna contro l’ingiustizia e la prepotenza se non quando ha le idee chiare dei propri diritti; e queste suppongono un’esame della società, e sui governi. Una nazione stolida e feroce non conosce che il comando e l’ubbidienza; una nazione timida ed avvilita scansa i mali del potere colla sottomissione ».

Pietro Verri quindi ribadiva il primo dei problemi della massa: « Non ci può essere governo dispotico se non là dove ogni cittadino indifferente per i mali altrui non conosce che gli interessi privati ».

Pietro Verri: L’arte del Potere

« L’arte più antica e comune del dispotismo è d’introdurre una reciproca diffidenza tra gli uomini premiando le spie, proteggendo e onorando i delatori. Ogni uomo, nel suo prossimo congiunto, teme un traditore; quindi chiude nel più segreto del suo cuore le nascenti opinioni sul governo ». « Gli uomini così isolati … credono sapienza il non occuparsi mai di oggetti pubblici, e considerare estranea la pubblica felicità ».

Sull’altro fronte, già accennato, « corse de’ berberi, cacce del toro, teatri, giochi d’artificio, musica, processioni, fiera. Questi sono divertimenti, e ben meritano questo nome, perché divertono dal pensare ai mali pubblici, e gli uomini giungono persino ad amare un cattivo governo quando questo protegga simili spettacoli. Panem et circenses. […] tutte le graziose frivolità sono ottimi passatempi per tenere nell’infanzia ».

Pietro Verri: i “libri buoni” per far conoscere la dignità al Popolo

Che può fare, quindi, il Popolo?

Naturalmente, per prima cosa, se « l’interesse del governo è di tenerli isolati, l’interesse loro al contrario è di accostarsi e unirsi ». Verri infatti non condivide il noto pensiero di Rosseaux e, in principio della sua opera, quindi scrive: « riflettendo come l’uomo nasca debole e dipendente e bisognoso di soccorso, proviamo molta difficoltà nel persuaderci che nasca libero ».

Per Verri, poi, « una nazione illuminata conosce la propria dignità, sente i propri diritti, … e più facilmente presso di lei trabocca la bilancia dove gravitano i mali del governo ».

In altre parole, alla domanda, « per quale mezzo si propagano in una nazione i lumi sulla natura della Società? », il filosofo milanese risponde con semplicità: « per mezzo di libri buoni »! Lo scrittore però mette in guardia: non tutti i libri sono buoni, ce ne sono di cattivi. I governi dispotici, infatti, consentono ed incentivano « la lettura e la moltiplicazione dei libri fintanto che servono a parte del popolo per distrazione ».

Tramite i libri buoni, « i filosofi devono gettare i semi, e il tempo li svilupperà ».

Tuttavia, il tempo non sarà breve: « fintanto che i danni di un cattivo governo sono mediocri e sopportabili, chi tentasse una rivoluzione esporrebbe la generazione vivente a mali maggiori di quelli che accompagno il suo stato attuale », spiega Pietro Verri.

Il governo, infatti, è di norma furbo ed opera tenendo a mente delle semplici regole di condotta.

« Ogni governo arbitrario, che voglia allontanare il pericolo di una rivoluzione:

  • deve rispettare la religione, le antiche leggi e le costumanze comuni del paese;
  • deve procurare l’abbondanza dei commestibili;
  • lasciare al popolo spettacoli d’ogni sorta;
  • vegliare con le spie, spegnendo i principi;
  • e astenersi da qualunque azione alla quale non si possa dare aspetto di giustizia, o fine apparente del pubblico bene ».

Però, continua Verri, « quando non la ragione del ben pubblico, ma il capriccio, la prepotenza, l’orgoglio, i vizi personali regolano la società, la resistenza è giusta, e la rivoluzione è un beneficio insigne ».

Pietro Verri: Primi consigli per una rivoluzione

Il “Primo Dialogo” aggiunde dei “consigli” … rivoluzionari per il Popolo.

Il primo è quello di raggiungere una consapevolezza del proprio potere di massa: « il primo passo verso d’una riforma è quello di fare che gli uomini governati conoscano finalmente ch’essi sono realmente i più forti, tosto che lo vogliano essere, e che la loro spensieratezza li rende soggiogati dalla furberia di chi è più debole di loro ».

L’autore individua due ostacoli in tale cammino di consapevolezza: « conviene che gli uomini conoscano che la forza è nelle loro mani; che sono schiavi, perché non sanno usarle; non lo sanno perché non hanno benevolenza; e non hanno questa, perché sono traviati nella strada del vizio ».

Ciò, però, non deve scoraggiare neanche il singolo individuo: « Quindi dico che, sotto di un governo cattivo, un uomo virtuoso e illuminato deve per quanto è in suo potere

  • gettare i semi della riforma,
  • e lavorare affinché gli uomini sentano la loro forza;
  • s’accorgano della furberia di chi mal li governa;
  • conoscano essere riposto il loro interesse nella fede e benevolenza reciproca;
  • … e si prepari quindi la massa del popolo ad essere degna d’aspirare alla libertà ».

Su questo percorso, conclude il “primo dialogo” Verri, « il primo passo, credo io, sarebbe far nascere il principio d’onore, una infamia allo spionaggio, un pubblico ribrezzo al tradimento ».

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Fonte:

VERRI Pietro (1728-1797), 1763, “Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità”, ed. L’Edizioni, 2017-Milano, ISBN 978-88-6705-464-0 (epub).

2 risposte

  1. ALESSANDRO ha detto:

    Il problema più grosso è che la cultura viene impattata in maniera pervasiva dal sistema scolastico, servirebbe riformare tutto, dall’asilo alle università, dando come obiettivo il dare gli strumenti fondamentali per difendersi ed autodeterminarsi. Non come ora che si è trattati da bestiame da addomesticare.

  2. Salvatore Colicchia ha detto:

    Fondamentale sono d’accordo!!!
    Riflessione completa e scritta molto bene…facilmente comprensibile e profondamente reale!!!
    Non sono molto d’accordo con il pensiero di Alessandro ( commento precedente), la scuola non rappresenta il male della società come spesso viene definita…piuttosto credo che bisogna partire dalle famiglie, dai genitori, ormai alle prese con le costanti e periodiche sconfitte, fallimenti, insuccessi, crolli ecc.ecc. che di fatto compromettono e pregiudicano la crescita, lo sviluppo della consapevolezza, del senso critico e l’attenzione e il rispetto verso la società e l’umanità!!!

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