Saverio Merlino e l’ingiustizia della proprietà privata

«La proprietà non solo si acquista generalmente col furto, con l’usura e con l’inganno, ma, una volta ottenuta, si fa fruttare attraverso l’oppressione e lo sfruttamento dell’operaio. I proprietari e i capitalisti succhiano il sangue degli operai». Con queste parole, Francesco Saverio Merlino esprime il concetto fondamentale per cui l’anarchico, ma anche il comunista, contesta «la giustizia del “diritto di proprietà”» [1].
Secondo l’anarchico, «il risultato ultimo del “diritto di proprietà” è la miseria forzosa dell’operaio».
Merlino chiarisce ulteriormente la sua posizione: «Noi sosteniamo che l’interesse dei più è sacrificato all’ingordigia dei pochi; e in nome del diritto degli operai a vivere, a lavorare, a godere il frutto del loro lavoro, a istruirsi, a educare i propri figli, ad avere un pane nella loro vecchiaia, a non essere schiavi di nessuno, combattiamo il cosiddetto “diritto di proprietà”».
Ma la critica non si ferma qui. Saverio Merlino denuncia che «il “diritto di proprietà” è un ostacolo al progresso. È una sorgente di vizi, di discordie, di delitti, di usure». In altre parole, si tratta di «un’istituzione divenuta incompatibile coi bisogni, con le idee e coi sentimenti dell’epoca nostra».
Il testo di Merlino è una condanna netta delle eccessive disuguaglianze: «In virtù di questo diritto, pochi individui hanno sequestrato e usurpato tutti i benefici della civiltà». Inoltre, più l’operaio è bisognoso, «più il proprietario o il capitalista approfitta di lui».
Un sistema del genere, secondo Merlino, può avere solo tre esiti:
- «la società è distrutta; gli uomini diventano nemici»;
- «per vivere, o si ammazza o si ruba; la donna si prostituisce, l’uomo si vende»;
- «tutti assieme si corrompono e abbrutiscono; gli uni per troppo possedere o per troppo dominare, gli altri per l’abitudine che contraggono a soffrire e a servire».
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Saverio Merlino: il lavoro è frutto dell’opera del 99%
D’altra parte, l’attività del proprietario si riduce, secondo Merlino, a «lavorare con le braccia degli altri». Riferendosi all’1% della popolazione, egli spiega che «il valore delle loro proprietà e dei loro capitali» è il frutto del lavoro del restante 99%. Per questo, conclude, per un principio di giustizia, «alla società tutta quanta, non ai pochi monopolisti, dovrebbero appartenere la terra e i capitali».
Tuttavia, i proprietari e i capitalisti non vogliono condividere la propria ricchezza e la loro agiatezza. Guardano il loro vicino morente di fame, senza sentirsi «pungere il cuore da un segreto rimorso».
Infine, Merlino si sofferma sul progresso tecnologico, tanto apprezzato dai proprietari perché consente loro di aumentare la produzione e, di conseguenza, i profitti. Si domanda: «Le invenzioni meravigliose di questo secolo hanno forse diminuito la fatica o accresciuto il benessere degli operai?». La risposta è implicita e negativa: «si vedono tanti disoccupati, tanti fanciulli che lavorano nelle fabbriche e nelle miniere, tante donne che marciscono nelle risaie e si rovinano la salute nelle fabbriche, e tanti suicidi, tanti delitti di miseria».
L’unica conclusione possibile, per Merlino, è chiara: «La proprietà individuale dev’essere abolita; deve succederle la proprietà comune o societaria».
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Fonti e Note:
[1] Centro Studi Merlino, Francesco Saverio Merlino, Catania 1966, “Perché siamo anarchici”, pagg. 13-16 (pubblicato la prima volta nel 1892) [PDF].
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